Testi per la vita monastica                                                  Liturgia - sezione III


scheda

Giovanni Paolo II  

I Salmi e i Cantici proposti nella preghiera delle Ore 

Il Santo Padre Giovanni Paolo II, durante l'udienza generale svoltasi in piazza S. Pietro mercoledì mattina 28 marzo 2001,  ha cominciato una nuova serie di catechesi  su "i Salmi e i Cantici proposti nella preghiera delle Ore".

Così il Santo Padre stesso annuncia lo scopo e il metodo di queste catechesi:          

"La nostra lettura mirerà soprattutto a far emergere il significato religioso dei Salmi, mostrando come essi, pur essendo stati scritti tanti secoli fa per dei credenti ebrei, possono essere assunti nella preghiera dei discepoli di Cristo. Ci lasceremo per questo aiutare dai risultati dell'esegesi, ma insieme ci metteremo alla scuola della Tradizione, soprattutto ci porremo in ascolto dei Padri della Chiesa".


Gli amici che desiderano seguire tutte le catechesi: 

° possono seguire in diretta televisiva al mercoledì mattina l'udienza su Sat 2000 e su TelePace; 

  oppure per radio, in diretta o in differita, sulle Radio cattoliche. 

° trovano il testo a stampa ogni giovedì su Avvenire o su L'Osservatore Romano.

° la LEV (Libreria Editrice Vaticana) ha stampato la prima serie delle quattro settimane delle LODI,

  dapprima in quattro libretti, contenenti anche la musica del Salmo o Cantico commentato, 

  poi in volume unico senza musiche. 

° Con la morte di Giovanni Paolo II le Catechesi sui VESPRI sono rimaste interrotte a gennaio     

  2005, ma Benedetto XVI si è impegnato a proseguirle e concluderle. 


Qui di seguito riportiamo le prime due Catechesi introduttive, e le prime tre Catechesi a titolo esemplificativo:

 


    

a cura dei monaci della Abbazia Nostra Signora della Trinità - Morfasso (PC) Italia

 

 

 

Giovanni  Paolo  II

 

 

i  salmi  

nella  Tradizione  della  Chiesa

 

prima Catechesi di SS. Giovanni Paolo II  su  i Salmi e i Cantici delle Lodi

(mercoledì  28 marzo 2001)

 

1. Nella Lettera Apostolica Novo Millennio ineunte ho auspicato che la Chiesa si distingua sempre di più nell' «arte della preghiera» apprendendola sempre nuovamente dalle labbra del divino Maestro (cfr n. 32). Tale impegno deve essere vissuto soprattutto nella Liturgia, fonte e culmine della vita ecclesiale. In questa linea è importante riservare una maggiore cura pastorale alla promozione della Liturgia delle Ore come preghiera di tutto il Popolo di Dio (cfr ivi, 34). Se, infatti, i sacerdoti e i religiosi hanno un preciso mandato di celebrarla, essa è però proposta caldamente anche ai laici. A questo mirò, poco più di trent'anni or sono, il mio venerato predecessore Paolo VI, con la costituzione Laudis canticum in cui determinava il modello vigente di questa preghiera, augurandosi che « i Salmi e i Cantici, struttura portante della Liturgia delle Ore, fossero compresi con rinnovato amore dal Popolo di Dio » (AAS 63 [1971], 532). 

È un dato incoraggiante che molti laici, sia nelle parrocchie che nelle aggregazioni ecclesiali, abbiano imparato a valorizzarla. Essa resta, tuttavia, una preghiera che suppone un'adeguata formazione catechetica e biblica, perché la si possa gustare fino in fondo.

A questo scopo cominciamo oggi una serie di catechesi sui Salmi e sui Cantici proposti nella preghiera mattutina delle Lodi. Desidero, in tal modo, incoraggiare e aiutare tutti a pregare con le stesse parole utilizzate da Gesù e presenti da millenni nella preghiera di Israele e in quella della Chiesa.

2. Potremmo introdurci alla comprensione dei Salmi attraverso varie vie. La prima consiste-rebbe nel presentare la loro struttura letteraria, i loro autori, la loro formazione, i contesti in cui sono nati. Suggestiva poi sarebbe una lettura che ne mettesse in evidenza il carattere poetico, che raggiunge talvolta altissimi livelli di intuizione lirica e di espressione simbolica. Non meno interessante sarebbe ripercorrere i Salmi considerando i vari sentimenti dell'animo umano che essi manifestano: gioia, riconoscenza, rendimento di grazie, amore, tenerezza, entusiasmo, ma anche intensa sofferenza, recriminazione, richiesta di aiuto e di giustizia, che sfociano talvolta in rabbia e imprecazione. Nei Salmi l'essere umano ritrova se stesso interamente.

La nostra lettura mirerà soprattutto a far emergere il significato religioso dei Salmi, mostrando come essi, pur essendo stati scritti tanti secoli fa per dei credenti ebrei, possono essere assunti nella preghiera dei discepoli di Cristo. Ci lasceremo per questo aiutare dai risultati dell'esegesi, ma insieme ci metteremo alla scuola della Tradizione, soprattutto ci porremo in ascolto dei Padri della Chiesa.

3. Questi ultimi, infatti, con profonda penetrazione spirituale, hanno saputo discernere e additare la grande "chiave" di lettura dei Salmi in Cristo stesso, nella pienezza del suo mistero. I Padri ne erano ben convinti: nei Salmi si parla di Cristo. Infatti Gesù risorto applicò a se stesso i Salmi quando disse ai discepoli: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (Lc 24, 44). I Padri aggiungono che nei Salmi si parla a Cristo o è addirittura Cristo a parlare. Dicendo questo, essi non pensavano soltanto alla persona individuale di Gesù, ma al Christus totus, al Cristo totale, formato da Cristo capo e dalle sue membra.

Nasce così, per il cristiano, la possibilità di leggere il Salterio alla luce di tutto il mistero di Cristo. Proprio quest'ottica ne fa emergere anche la dimensione ecclesiale, che è particolarmente evidenziata dal canto corale dei Salmi. Si comprende così come i Salmi abbiano potuto essere assunti, fin dai primi secoli, come preghiera del Popolo di Dio. Se, in alcuni periodi storici, emerse una tendenza a preferire altre preghiere, è stato grande merito dei monaci tenere alta nella Chiesa la fiaccola del Salterio. Uno di loro, san Romualdo fondatore di Camaldoli, all'alba del secondo millennio cristiano, giungeva a sostenere che - afferma il suo biografo Bruno di Querfurt - sono i Salmi l'unica strada per fare esperienza di una preghiera veramente profonda: «Una via in psalmis» (Passio Sanctorum Benedicti et Johannes ac sociorum eorundem: MPH VI, 1893, 427).

4. Con questa affermazione, a prima vista eccessiva, egli in realtà restava ancorato alla migliore tradizione dei primi secoli cristiani, quando il Salterio era diventato il libro per eccellenza della preghiera ecclesiale. Fu questa la scelta vincente nei confronti delle tendenze ereticali che continuamente insidiavano l'unità di fede e di comunione. E' interessante a tal proposito una stupenda lettera che sant'Atanasio scrisse a Marcellino nella prima metà del IV secolo, mentre l'eresia ariana imperversava attentando alla fede nella divinità di Cristo. Di fronte agli eretici che attiravano a sé la gente anche con canti e preghiere, che ne gratificavano i sentimenti religiosi, il grande Padre della Chiesa si dedicò con tutte le sue forze a insegnare il Salterio trasmesso dalla Scrittura (cfr PG 27,12 ss.). Fu così che al «Padre Nostro», la preghiera del Signore per antonomasia, si aggiunse la prassi, presto divenuta universale fra i battezzati, della preghiera salmodica.

5. Grazie anche alla preghiera comunitaria dei Salmi, la coscienza cristiana ha ricordato e compreso che è impossibile rivolgersi al Padre che abita nei cieli senza un'autentica comunione di vita con i fratelli e le sorelle che abitano sulla terra. Non solo, ma inserendosi vitalmente nella tradizione orante degli ebrei, i cristiani impararono a pregare raccontando i magnalia Dei, cioè le grandi meraviglie compiute da Dio sia nella creazione del mondo e dell'umanità, sia nella storia di Israele e della Chiesa. Questa forma di preghiera attinta alla Scrittura, non esclude certo espressioni più libere, e queste continueranno non solo a caratterizzare la preghiera personale, ma anche ad arricchire la stessa preghiera liturgica, ad esempio con inni e tropari. Il libro del Salterio rimane comunque la fonte ideale della preghiera cristiana, e ad esso continuerà ad ispirarsi la Chiesa nel nuovo Millennio.

 

(da L'Osservatore Romano di giovedì 29 marzo 2001)

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Giovanni  Paolo  II

 

 

la  liturgia  delle  Ore,

preghiera  della  Chiesa

 

seconda Catechesi di SS. Giovanni Paolo II  su  i Salmi e i Cantici delle Lodi

(mercoledì 4 aprile 2001)

 

1. Prima di intraprendere il commento dei singoli Salmi e Cantici delle Lodi, completiamo quest'oggi la riflessione introduttiva iniziata nella scorsa catechesi. E lo facciamo prendendo le mosse da un aspetto molto caro alla tradizione spirituale: cantando i Salmi, il cristiano sperimenta una sorta di sintonia fra lo Spirito presente nelle Scritture e lo Spirito dimorante in lui per la grazia battesimale. Più che pregare con proprie parole, egli si fa eco di quei «gemiti inesprimibili» di cui parla san Paolo (cfr Rm 8, 26), con i quali lo Spirito del Signore spinge i credenti ad unirsi all'invo-cazione caratteristica di Gesù: "Abbà, Padre!" (Rm 8, 15; Gal 4, 6).

Gli antichi monaci erano talmente sicuri di questa verità, che non si preoccupavano di cantare i Salmi nella propria lingua materna, bastando loro la consapevolezza di essere, in qualche modo, "organi" dello Spirito Santo. Erano convinti che la loro fede permettesse ai versetti dei Salmi di sprigionare una particolare "energia" dello Spirito Santo. La stessa convinzione si manifesta nella caratteristica utilizzazione dei Salmi, che fu chiamata "preghiera giaculatoria"- dalla parola latina "iaculum" cioè dardo - per indicare brevissime espressioni salmodiche che potevano essere "lanciate", quasi come punte infuocate, ad esempio contro le tentazioni, Giovanni Cassiano, uno scrittore vissuto fra il IV e il V secolo, ricorda che alcuni monaci avevano scoperto l'efficacia straordinaria del brevissimo incipit del Salmo 69: "O Dio vieni a salvarmi; Signore vieni presto in mio aiuto", che da allora divenne come il portale d'ingresso della Liturgia delle Ore (cfr Collationes, 10, 10: CPL 5I2, 298 ss).

2. Accanto alla presenza dello Spirito Santo, un'altra dimensione importante è quella dell'azione sacerdotale che Cristo svolge in questa preghiera associando a sé la Chiesa sua sposa. A tal proposito, proprio riferendosi alla Liturgia delle Ore, il Concilio Vaticano II insegna: "Il Sommo Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza, Cristo Gesù, unisce a sé tutta la comunità degli uomini,e se  l'associa nell'elevare questo divino canto di lode. Infatti Cristo continua questo ufficio sacerdotale per mezzo della sua stessa Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo intero non solo con la celebrazione dell'Eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente con la recita dell'Ufficio divino" (Sacrosanctum Concilium, 83). 

Anche la Liturgia delle Ore, dunque, ha il carattere di preghiera pubblica, nella quale la Chiesa è particolarmente coinvolta. È illuminante allora riscoprire come la Chiesa abbia progressivamente definito questo suo specifico impegno di preghiera scandita sulle varie fasi del giorno. Occorre per questo risalire ai primi tempi della comunità apostolica, quando ancora vigeva uno stretto legame fra la preghiera cristiana e le cosiddette "preghiere legali" - prescritte cioè dalla Legge mosaica - che si svolgevano in determinate ore del giorno nel Tempio di Gerusalemme. Dal libro degli Atti sappiamo che gli Apostoli "tutti insieme frequentavano il Tempio" (2, 46), oppure che "salivano al Tempio per la preghiera dell'ora nona" (3, 1). E d'altra parte sappiamo anche che le "preghiere legali" per eccellenza erano appunto quelle del mattino e della sera.

3. Gradualmente i discepoli di Gesù individuarono alcuni Salmi particolarmente appropriati a determinati momenti della giornata, della settimana o dell'anno, cogliendovi un senso profondo in rapporto al mistero cristiano. È autorevole testimone di questo processo san Cipriano, che così scrive nella prima metà del terzo secolo: "Bisogna infatti pregare all'inizio del giorno per celebrare nella preghiera del mattino la risurrezione del Signore. Ciò corrisponde a quello che una volta lo Spirito Santo indicava nei Salmi con queste parole: «Tu sei il mio re, il mio Signore, ed io innalzerò a te, o Signore, di mattino la preghiera: ascolterai la mia supplica; di mattino mi presenterò a te e ti contemplerò» (Sal 5,3-4). […] Quando poi il sole tramonta e viene meno il giorno, bisogna mettersi di nuovo a pregare. Infatti, poiché il Cristo è il vero sole e il vero giorno, nel momento in cui il sole e il giorno del mondo vengono meno, chiedendo attraverso la preghiera che sopra di noi ritorni la luce, invochiamo che Cristo ritorni a portarci la grazia della luce eterna" (De oratione dominica, 35; PL 39, 655).

4. La tradizione cristiana non si limitò a perpetuare quella ebraica, ma innovò alcune cose che finirono col caratterizzare diversamente l'intera esperienza di preghiera vissuta dai discepoli di Gesù. Oltre infatti a recitare, al mattino e alla sera, il Padre nostro, i cristiani scelsero con libertà i Salmi con i quali celebrare la loro preghiera quotidiana. Lungo la storia, questo processo suggerì l'utilizzazione di determinati Salmi per alcuni momenti di fede particolarmente significativi. Fra questi teneva il primo posto la preghiera vigiliare, che preparava al Giorno dei Signore, la Domenica, in cui si celebrava la Pasqua di Risurrezione.

Una caratteristica tipicamente cristiana è stata poi 1'aggiunta alla fine di ogni Salmo e Cantico, della dossologia trinitaria, "Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo". Così ogni Salmo e Cantico viene illuminato dalla pienezza di Dio.

5. La preghiera cristiana nasce, si nutre e si sviluppa intorno all'evento per eccellenza della fede, il Mistero pasquale di Cristo. Così, al mattino e alla sera, al sorgere e al tramonto del sole, si ricordava la Pasqua, il passaggio del Signore dalla morte alla vita. Il simbolo di Cristo "luce del mondo" appare nella lampada durante la preghiera del Vespro, chiamata per questo anche lucernario. Le ore del giorno richiamano a loro volta il racconto della passione del Signore, e l'ora terza anche la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. La preghiera della notte infine ha carattere escatologico, evocando la veglia raccomandata da Gesù nell'attesa del suo ritorno (cfr Mc 13, 35-37). 

Cadenzando in questo modo la loro preghiera, i cristiani risposero al comando del Signore di "pregare incessantemente"(cfr Lc 18, 1; 21, 36; 1 Ts 5, 17; Ef 6, 18), ma senza dimenticare che tutta la vita deve in qualche modo diventare preghiera. Scrive a tal proposito Origene: "Prega senza posa colui che unisce la preghiera alle opere e le opere alla preghiera" (Sulla preghiera, XII, 2: PG 11, 452 C).

Questo orizzonte nel suo insieme costituisce l'habitat naturale della recita dei Salmi. Se essi vengono sentiti e vissuti così, la dossologia trinitaria che corona ogni Salmo diventa, per ciascun credente in Cristo, un continuo rituffarsi, sull'onda dello Spirito e in comunione con l'intero popolo di Dio, nell'oceano di vita e di pace in cui è stato immerso col Battesimo, ossia nel mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

 

(da L'Osservatore Romano di giovedì  5 aprile 2001)

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Giovanni  Paolo  II

 

 

salmo  62, 2-9:

l’anima  assetata  del  Signore

(Lodi  Domenica  1ª settimana)

 

terza Catechesi di SS. Giovanni Paolo II  su  i Salmi e i Cantici delle Lodi

(mercoledì  25 aprile 2001)

 

1. Il Salmo 62, sul quale oggi ci fermiamo a riflettere, è il Salmo dell’amore mistico, che celebra l’adesione totale a Dio, partendo da un anelito quasi fisico e raggiungendo la sua pienezza in un abbraccio intimo e perenne. La preghiera si fa desiderio, sete e fame, perché coinvolge anima e corpo.  

Come scrive santa Teresa d’Avila, “la sete esprime il desiderio di una cosa, ma un desiderio talmente intenso che noi moriamo se ne restiamo privi” (Cammino di perfezione, c. XXI). Del Salmo la liturgia ci propone le prime due strofe che sono appunto incentrate sui simboli della sete e della fame, mentre la terza strofa fa balenare un orizzonte oscuro, quello del giudizio divino sul male, in contrasto con la luminosità e la dolcezza del resto del Salmo. 

2. Iniziamo, allora, la nostra meditazione col primo canto, quello della sete di Dio (cfr vv. 2-4). È l’alba, il sole sta sorgendo nel cielo terso della Terra Santa e l’orante comincia la sua giornata recandosi al tempio per cercare la luce di Dio. Egli ha bisogno di quell’incontro col Signore in modo quasi istintivo, si direbbe “fisico”. Come la terra arida è morta, finché non è irrigata dalla pioggia, e come nelle screpolature del terreno essa sembra una bocca assetata e riarsa, così il fedele anela a Dio per essere riempito di Lui e per potere così esistere in comunione con Lui.  

Il profeta Geremia aveva già proclamato: il Signore è “sorgente d’acqua viva”, e aveva rimproverato il popolo per aver costruito “cisterne screpolate, che non tengono l’acqua” (2,13). Gesù stesso esclamerà ad alta voce: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me” (Gv 7,37-38). Nel pieno meriggio di un giorno assolato e silenzioso, promette alla donna samaritana: “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). 

3. La preghiera del Salmo 62 s’intreccia, per questo tema, col canto di un altro stupendo Salmo, il 41: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente” (vv. 2-3). Ora, nella lingua dell’Antico Testamento, l’ebraico, “l’anima” è espressa con il termine nefesh, che in alcuni testi designa la “gola” e in molti altri si allarga ad indicare l’essere intero della persona. Colto in queste dimensioni, il vocabolo aiuta a comprendere quanto sia essenziale e profondo il bisogno di Dio; senza di lui vien meno il respiro e la stessa vita. Per questo il Salmista giunge a mettere in secondo piano la stessa esistenza fisica, qualora venga a mancare l’unione con Dio: “La tua grazia vale più della vita” (Sal 62,4). Anche nel Salmo 72 si ripeterà al Signore: “Fuori di te nulla bramo sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre… Il mio bene è stare vicino a Dio” (vv. 25-28). 

4. Dopo il canto della sete, ecco modularsi nelle parole del Salmista il canto della fame (cfr Sal 62,6-9). Probabilmente, con le immagini del “lauto convito” e della sazietà, l’orante rimanda a uno dei sacrifici che si celebravano nel tempio di Sion: quello cosiddetto “di comunione”, ossia un banchetto sacro in cui i fedeli mangiavano le carni delle vittime immolate. Un’altra necessità fondamentale della vita viene qui usata come simbolo della comunione con Dio: la fame è saziata quando si ascolta la Parola divina e si incontra il Signore. Infatti, “l’uomo non vive soltanto di pane, ma l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3; cfr Mt 4,4). E qui il pensiero del cristiano corre a quel banchetto che Cristo ha imbandito l’ultima sera della sua vita terrena e il cui valore profondo aveva già spiegato nel discorso di Cafarnao: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,55-56). 

5.Attraverso il cibo mistico della comunione con Dio “l’anima si stringe” a Lui, come dichiara il Salmista. Ancora una volta, la parola “anima” evoca l’intero essere umano. Non per nulla si parla di un abbraccio, di uno stringersi quasi fisico: ormai Dio e uomo sono in piena comunione e sulle labbra della creatura non può che sbocciare la lode gioiosa e grata. Anche quando si è nella notte oscura, ci si sente protetti dalle ali di Dio, come l’arca dell’alleanza è coperta dalle ali dei cherubini. E allora fiorisce l’espressione estatica della gioia: “Esulto di gioia all’ombra delle tue ali”. La paura si dissolve, l’abbraccio non stringe il vuoto ma Dio stesso, la nostra mano s’intreccia con la forza della sua destra (cfr Sal 62,8-9). 

6. In una lettura del Salmo alla luce del mistero pasquale, la sete e la fame che ci spingono verso Dio, trovano il loro appagamento in Cristo crocifisso e risorto, dal quale giunge a noi, mediante il dono dello Spirito e dei Sacramenti, la vita nuova e l’alimento che la sostiene. 

Ce lo ricorda san Giovanni Crisostomo, che commentando l’annotazione giovannea: dal fianco “uscì sangue e acqua” (cfr Gv 19,34), afferma: “Quel sangue e quell’acqua sono simboli del Battesimo e dei Misteri”, cioè dell’Eucaristia. E conclude: “Vedete come Cristo congiunse a se stesso la sposa? Vedete con quale cibo nutre tutti noi? È dallo stesso cibo che siamo stati formati e veniamo nutriti. Infatti come la donna nutre colui che ha generato con il proprio sangue e latte, così anche Cristo nutre continuamente col proprio sangue colui che egli stesso ha generato” (Omelia III rivolta ai neofiti, 16-19 passim: SC 50 bis, 160-162).

 

(da L'Osservatore Romano di giovedì  26 aprile 2001)

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Giovanni  Paolo  II

 

 

cantico  dei  tre  giovani  (Dn  3, 57ss)

ogni  creatura  lodi  il  Signore

(Lodi  Domenica  1ª settimana)

 

quarta Catechesi di SS. Giovanni Paolo II  su  i Salmi e i Cantici delle Lodi

(mercoledì  2  maggio 2001)

 

1. "Benedite, opere tutte del Signore, il Signore" (Dn 3, 57). Un respiro cosmico pervade questo Cantico tratto dal libro di Daniele, che la Liturgia delle Ore propone per le Lodi della Domenica nella prima e nella terza settimana. E ben s'addice questa stupenda preghiera litanica al Dies Domini, al Giorno del Signore, che in Cristo risorto ci fa contemplare il culmine del disegno di Dio sul cosmo e sulla storia. In Lui, infatti, alfa ed omega, principio e fine della storia (cfr Ap 22, 13), prende senso compiuto la creazione stessa, poiché, come ricorda Giovanni nel prologo del Vangelo, "tutto è stato fatto per mezzo di lui" (Gv 1, 3). Nella risurrezione di Cristo culmina la storia della salvezza, aprendo la vicenda umana al dono dello Spirito e dell'adozione filiale, in attesa del ritorno dello Sposo divino, che consegnerà il mondo a Dio Padre (cfr 1 Cor 15, 24).

2. In questo brano litanico, sono come chiamate in rassegna tutte le cose. Lo sguardo punta al sole, alla luna, agli astri; si adagia sull'immensa distesa delle acque, si leva verso i monti, indugia sulle più diverse situazioni atmosferiche; passa dal caldo al freddo, dalla luce alle tenebre; considera il mondo minerale e quello vegetale, si sofferma sulle diverse specie di animali. L'appello poi si fa universale:  chiama in causa gli angeli di Dio, raggiunge tutti i "figli dell'uomo", ma coinvolge in modo particolare il popolo di Dio, Israele, i suoi sacerdoti, i giusti. È un immenso coro, una sinfonia in cui le varie voci elevano il loro canto a Dio, Creatore dell'universo e Signore della storia. Recitato alla luce della rivelazione cristiana, esso si rivolge al Dio trinitario, come la liturgia ci invita a fare, aggiungendo al Cantico una formula trinitaria:  "Benediciamo il Padre e il Figlio con lo Spirito Santo".

3. Nel Cantico in certo senso si riflette l'anima religiosa universale, che percepisce nel mondo l'orma di Dio, e si innalza alla contemplazione del Creatore. Ma nel contesto del libro di Daniele, l'inno si presenta come ringraziamento elevato da tre giovani israeliti - Anania, Azaria e Misaele - condannati a morire bruciati in una fornace, per aver rifiutato di adorare la statua d'oro di Nabucodonosor, ma miracolosamente preservati dalle fiamme. Sullo sfondo di questo evento c'è quella speciale storia di salvezza in cui Dio sceglie Israele come suo popolo e stabilisce con esso un'alleanza. Appunto a tale alleanza i tre giovani israeliti vogliono restare fedeli, a costo di andare incontro al martirio nella fornace ardente. La loro fedeltà si incontra con la fedeltà di Dio, che invia un angelo ad allontanare da loro le fiamme (cfr Dn 3, 49).

In tal modo il Cantico si pone nella linea dei canti di lode per un pericolo scampato, presenti nell'Antico Testamento. Tra essi è famoso il canto di vittoria riportato nel capitolo 15 dell'Esodo, dove gli antichi ebrei esprimono la loro riconoscenza al Signore per quella notte in cui sarebbero stati inevitabilmente travolti dall'esercito del faraone, se il Signore non avesse aperto loro una strada tra le acque, gettando "in mare cavallo e cavaliere" (Es 15, 1).

4. Non a caso, nella solenne veglia pasquale, la liturgia ci fa ogni anno ripetere l'inno cantato dagli israeliti nell'Esodo. Quella strada aperta per loro annunziava profeticamente la nuova via che Cristo risorto ha inaugurato per l'umanità nella notte santa della sua resurrezione dai morti. Il nostro passaggio simbolico attraverso le acque battesimali ci permette di rivivere un'analoga esperienza di passaggio dalla morte alla vita, grazie alla vittoria sulla morte riportata da Gesù a vantaggio di tutti noi.

Ripetendo nella liturgia domenicale delle Lodi il Cantico dei tre giovani israeliti, noi discepoli di Cristo vogliamo metterci sulla stessa onda di gratitudine per le grandi opere compiute da Dio, sia nella creazione, sia soprattutto nel mistero pasquale.

Il cristiano, infatti, scorge un rapporto tra la liberazione dei tre fanciulli, dei quali si parla nel Cantico, e la resurrezione di Gesù. In quest'ultima, gli Atti degli Apostoli vedono esaudita la preghiera del credente che, come il Salmista, canta fiducioso:  "Tu non abbandonerai l'anima mia negli inferi, né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione" (At 2, 27; Sal 15, 10).

L'accostamento di questo Cantico alla Resurrezione è molto tradizionale. Vi sono antichissime testimonianze della presenza di questo inno nella preghiera del Giorno del Signore, Pasqua settimanale dei cristiani. Le catacombe romane poi conservano reperti iconografici nei quali si notano i tre fanciulli che pregano indenni tra le fiamme, testimoniando così l'efficacia della preghiera e la certezza dell'intervento del Signore.

5. "Benedetto sei tu, Signore, nel firmamento del cielo, degno di lode e di gloria nei secoli" (Dn 3, 56). Cantando questo inno al mattino della Domenica, il cristiano si sente grato non solo per il dono della creazione, ma anche perché destinatario della premura paterna di Dio, che in Cristo lo ha elevato alla dignità di figlio.

Una premura paterna che fa guardare con occhi nuovi allo stesso creato e ne fa gustare la bellezza, nella quale si intravede, come in filigrana, l'amore di Dio. È con questi sentimenti che Francesco d'Assisi contemplava il creato ed elevava la sua lode a Dio, sorgente ultima di ogni bellezza. È spontaneo immaginare che le elevazioni di questo testo biblico gli echeggiassero nell'animo quando, a San Damiano, dopo aver toccato i vertici della sofferenza nel corpo e nello spirito, compose il "Cantico di frate sole" (cfr Fonti Francescane, 263).

 

(da  L'Osservatore Romano  di mercoledì-giovedì  2-3 maggio 2001)

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Giovanni  Paolo  II

 

 

Salmo149

festa degli amici di Dio

(Lodi  Domenica  1ª settimana)

 

quinta Catechesi di SS. Giovanni Paolo II  su  i Salmi e i Cantici delle Lodi

(mercoledì  23  maggio 2001)

 

 

1. “Esultino i fedeli nella gloria, sorgano lieti dai loro giacigli”. Questo appello del Salmo 149, che è stato appena proclamato, rimanda ad un’alba che sta per schiudersi e vede i fedeli pronti a intonare la loro lode mattutina. Tale lode è definita, con un’espressione significativa, “un canto nuovo” (v. 1), cioè un inno solenne e perfetto, adatto ai giorni finali, in cui il Signore radunerà i giusti in un mondo rinnovato. Tutto il Salmo è percorso da un’atmosfera festosa, inaugurata già dall’alleluia iniziale e ritmata poi in canto, lode, gioia, danza, suono dei timpani e delle cetre. La preghiera che questo Salmo ispira è l’azione di grazie di un cuore colmo di religiosa esultanza.

2. I protagonisti del Salmo sono chiamati, nell’originale ebraico dell’inno, con due termini caratteristici della spiritualità dell’Antico Testamento. Per tre volte essi sono definiti innanzitutto come hasidim (vv. 1.5.9), cioè “i pii, i fedeli”, coloro che rispondono con fedeltà e amore (hesed) all’amore paterno del Signore.

La seconda parte del Salmo desta meraviglia, perché è piena di espressioni belliche. Ci sembra strano che, in uno stesso versetto, il Salmo metta insieme “le lodi di Dio nella bocca” e “la spada a due tagli nelle loro mani” (v. 6). Riflettendo, possiamo capire il perché: il Salmo fu composto per dei “fedeli” che si trovavano impegnati in una lotta di liberazione; combattevano per liberare il loro popolo oppresso e rendergli la possibilità di servire Dio. Durante l’epoca dei Maccabei, nel II secolo a.C., i combattenti per la libertà e per la fede, sottoposti a dura repressione da parte del potere ellenistico, si chiamavano proprio hasidim, “i fedeli” alla Parola di Dio e alle tradizioni dei padri.

3. Nella prospettiva attuale della nostra preghiera questa simbologia bellica diventa un’immagine dell’impegno di noi credenti che, dopo aver cantato a Dio la lode mattutina, ci avviamo per le strade del mondo, in mezzo al male e all’ingiustizia. Purtroppo le forze che si oppongono al Regno di Dio sono imponenti: il Salmista parla di “popoli, genti, capi e nobili”. Eppure egli è fiducioso perché sa di aver accanto il Signore che è il vero Re della storia (v. 2). La sua vittoria sul male è, quindi, certa e sarà il trionfo dell’amore. A questa lotta partecipano tutti gli hasidim, tutti i fedeli e i giusti che con la forza dello Spirito conducono a compimento l’opera mirabile che porta il nome di Regno di Dio.

4. Sant’Agostino, partendo dai riferimenti del Salmo al ‘coro’ e ai ‘timpani e cetre’, commenta: “Che cosa rappresenta un coro? […] Il coro è un complesso di cantori che cantano insieme. Se cantiamo in coro dobbiamo cantare d’accordo. Quando si canta in coro, anche una sola voce stonata ferisce l’uditore e mette confusione nel coro stesso” (Enarr. in Ps. 149: CCL 40,7,1-4).

E riferendosi poi agli strumenti utilizzati dal Salmista, si chiede: “Perché il Salmista prende in mano il timpano e il salterio?” Risponde: “Perché non soltanto la voce lodi il Signore, ma anche le opere. Quando si prendono il timpano e il salterio, le mani si accordano alla voce. Così per te. Quando canti l’alleluia, devi porgere il pane all’affamato, vestire il nudo, ospitare il pellegrino. Se fai questo, non è solo la voce che canta, ma alla voce si armonizzano le mani, in quanto con le parole concordano le opere” (ibid., 8,1-4).

5. C’è un secondo vocabolo con cui sono definiti gli oranti di questo Salmo: essi sono gli anawim, cioè “i poveri, gli umili” (v. 4). Questa espressione è molto frequente nel Salterio e indica non solo gli oppressi, i miseri, i perseguitati per la giustizia, ma anche coloro che, essendo fedeli agli impegni morali dell’Alleanza con Dio, vengono emarginati da quanti scelgono la violenza, la ricchezza e la prepotenza. In questa luce si comprende che quella dei “poveri” non è soltanto una categoria sociale ma una scelta spirituale. Questo è il senso della celebre prima Beatitudine: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,3). Già il profeta Sofonia si rivolgeva così agli anawim: “Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l’umiltà, per trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore” (Sof 2,3).

6. Ebbene, il “giorno dell’ira del Signore” è proprio quello descritto nella seconda parte del Salmo quando i “poveri” si schierano dalla parte di Dio per lottare contro il male. Essi, da soli, non hanno la forza sufficiente, né i mezzi, né le strategie necessarie per opporsi all’irrompere del male. Eppure la frase del Salmista non ammette esitazioni: “Il Signore ama il suo popolo, incorona gli umili (anawim) di vittoria” (v.4). Si configura idealmente quanto l’apostolo Paolo dichiara ai Corinzi: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,28).

Con questa fiducia “i figli di Sion” (v. 2), hasidim e anawim, cioè i fedeli e i poveri, si avviano a vivere la loro testimonianza nel mondo e nella storia. Il canto di Maria nel Vangelo di Luca - il Magnificat - è l’eco dei migliori sentimenti dei “figli di Sion”: lode gioiosa a Dio Salvatore, azione di grazie per le grandi cose operate in lei dal Potente, lotta contro le forze malvagie, solidarietà con i poveri, fedeltà al Dio dell’Alleanza (cfr Lc 1,46-55).

 

(da L'Osservatore Romano  di giovedì  24 Maggio 2001)

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